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sabato 5 dicembre 2009

Non rassegnamoci a sopravvivere aspettando un miracolo

Ecco, dal BS di ottobre 1909, un brano dell’articolo di fondo che mi è apparso particolarmente interessante, anzi, decisamente attuale. L’esortazione ai cattolici (ma vale per tutti e in ogni ambito) a destarsi “dal loro torpore” è quanto mai vera e può essere ripetuta e gridata oggi. E non solo ai giovani.

Molti son quelli, che, di fronte ai mali che oggidì affliggono la società, sentono una spina dolorosa in cuore, ma, purtroppo, pochi lavorano di proposito per alzare un argine contro l’impetuosa corrente devastatrice; perché i più, anche pii, retti ed esemplari, si limitano a deplorare le rovine che il vizio e la miscredenza vanno continuamente accumulando. Noi non vogliamo far la diagnosi di questo fatto; ma non possiamo fare a meno di osservare, che se molti dei cattolici si destassero dal loro torpore e comprendessero che oggi il loro primo dovere è la franca ed esplicita professione della fede, perché tutti non solo dobbiamo essere, ma dobbiamo pur mostrarci seguaci di Gesù Cristo, con la più generosa cooperazione individuale al trionfo dello spirito del Vangelo in mezzo alla società, più presto spunterebbe il giorno della sospirata restaurazione. È costume della Divina Provvidenza di lasciar libero il campo alle cause seconde e, in via ordinaria, di non intervenire là, dove l’uomo può fare, e deve fare, da sé. Chiunque, infatti, ha fior di senno non può attendere un miracolo quando non occorre; l’agricoltore ad esempio, non aspetta che i suoi granai si riempiano prodigiosamente di frumento, sapendo aver Iddio disposto che i campi biondeggino di messi mercè le sue cure. Or si vorrebbe pretendere che la società divenga cristiana in un ambiente irreligioso qual è quello che la circonda al presente… e non si cura la formazione cristiana della fanciullezza e della gioventù?


Leggendo questo articolo si nota lo stile un po' arcaico della lingua di cent'anni fa! Ma resta ben chiaro lo scopo: realizzare qui in terra la salvezza, intesa come realizzazione della nostra vita seguendo il Vangelo. Molti leggendo questa frase potranno ridere o pensare che sono solo stupidaggini. Ebbene io rispondo loro che la via per la felicità è proprio questa, felicità inesauribile però e non effimera (breve e limitata) come quella a cui possiamo essere abituati il sabato sera (un esempio a caso!).
Impegnarsi in ciò che si crede da soddisfazione e in definitiva ci rende orgogliosi e felici di noi stessi, senza contare il bene che possiamo fare per gli altri. Certo, innanzitutto bisogna mettersi nell'ottica che il mio prossimo è importante altrimenti se pensiamo solo a noi stessi va da se che questo articolo non ci serve a niente.

Per concludere vorrei dare una piccola raccomandazione: non aspettatevi risultati immediati e non abbiate paura dei fallimenti. Ma da questi ultimi cercate sempre di ripartire.




Fonti usate:
Bollettino Salesiano

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